Illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza dell’art. 116, 2° comma c.p. sulla recidiva

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 …

Illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza dell'attenuante ex art. 116, 2° comma c.p. sulla recidiva ex art. 99, 4° comma, c.p.

02-04-2021

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

Con la sentenza n. 55/2021 (pres. Coraggio, rel. Amoroso) emessa in giudizo di legittimità costituzionale in via incidentale a seguito di ordinanza del Tribunale ordinario di Firenze, in  in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, il Giudice delle Leggi ha osservato che la norma censurata impedisce, in modo assoluto, al giudice di ritenere prevalente la diminuente di cui al'art. 116, 2° comma, c.p.,  in presenza della circostanza aggravante della recidiva reiterata, con ciò frustrando, irragionevolmente, gli effetti che l’attenuante mira ad attuare e compromettendone la necessaria funzione di riequilibrio sanzionatorio.

A parere della Corte Costituzionale, quindi, "il divieto inderogabile di prevalenza dell’attenuante in esame non risulta, quindi, compatibile con il principio costituzionale di determinazione di una pena proporzionata."

Nel corpo della motivazione il Giudce delle Leggi osserva che "il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato «esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo (sentenza n. 222 del 2018). E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile» (sentenza n. 73 del 2020).".

Per questa ragione, "la sproporzione della pena rispetto alla rimproverabilità del fatto posto in essere, globalmente considerato, conseguente al divieto di prevalenza censurato, determina un trattamento sanzionatorio che impedisce alla pena di esplicare la propria funzione rieducativa con violazione dell’art. 27 Cost.".

La Corte ha altresì osservato che "il contrasto dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., con l’art. 3 Cost. viene in rilievo sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, in quanto il divieto censurato finisce per vanificare la funzione che la diminuente di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., tende ad assicurare, ossia sanzionare in modo diverso situazioni profondamente distinte sul piano dell’elemento soggettivo (quello del correo che pone in essere l’evento diverso e più grave e quello di chi vuole il reato meno grave senza prevedere, colpevolmente, che questo possa degenerare nel fatto più grave).".

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